De André era così, ostinatamente in direzione contraria. Pensiamo ai primi dischi, a quei testi in rime ed alla musica scarna, che li rendeva apparentemente poco commerciali e che invece gli consentirono di vedere al primo posto delle classifiche di vendita italiana tutti e tre i suoi primi lavori. E poi pensiamo alla stagione dei capolavori, che certo ebbero in "Tutti morimmo a stento" un antesignano, ma che poi si manifestò più pienamente a partire da "La buona novella", album di estrema complessità, con liriche forse tuttora ineguagliate. A seguire ecco "Non all'amore, non al denaro né al cielo", disco che pone in musica l'antologia di Spoon River... migliorandola di parecchio. E subito dopo c'è il disco politico di De André, quello che da un lato forse risente di più del passaggio del tempo perché è l'istantanea di un'epoca. E però si tratta anche dell'album che contiene La canzone del maggio, Il bombarolo e Verranno a chiederti del nostro amore...
Poi un po' di crisi, un disco di cover (molto belle, scelte splendidamente), ma ecco subito la collaborazione con De Gregori, che gli cambierà la prospettiva e immetterà nuova linfa alla poesia del grande cantautore genovese.
Dopo tocca a Rimini e I'Indiano (noto anche come Fabrizio De André), che alcuni giudicano i meno riusciti dell'autore, ma che io invece penso essere meritevoli assai intanto per la qualità delle musiche, finalmente più orchestrate e ricche, e poi perché in fin dei conti contengono brani che amo molto, Rimini, Sally e Coda di lupo il primo, Fiume Sand Creek e Hotel Supramonte (e molto altro) il secondo. Dopo questi la virata dialettale, prima appunto con Creuza de ma, poi con Le Nuvole. Infine Anime salve, il testamento del Faber, un disco bellissimo, composto con Ivano Fossati.
Fabrizio mi manca maledettamente.
