Seguo poco il panorama attuale; qua e là qualche canzone che mi ha colpito c'è stata. Se però devo pensare a un album, il primo nome che mi viene in mente - non vi stupirà - è quello di Davide Van De Sfroos.
Quello degli anni duemila è stato il decennio della maturazione artistica e umana del ex membro dei comaschi Potage dopo lo
ska-folk degli esordi solisti e il grande successo di Brèva e Tivàn, quasi capolavoro del 1999.
Tre gli album di inediti pubblicati in quei dieci anni così vicini e sempre più lontani:
...e semm partii, l'introspettivo e misterioso
Akuaduulza (2005; per me suo capolavoro e del quale vi ho già proposto altrove la splendida canzone che dà il titolo all'album) e
Pica!.
Opto per il primo dei tre, perché lo sto riascoltando spesso e a ogni ascolto scopro cose nuove e sembra sempre più bello.
Album tutt'altro che privo di riempitivi (del resto le tracce sono quattordici),
...e semm partii (letteralmente "e siamo partiti", con riferimento alla migrazione degli italiani verso gli Stati Uniti) vive di una serie di pezzi molto belli, uno dietro l'altro, con almeno un paio di capolavori.
Uno di questi è proprio
la canzone che dà il titolo all'album, commovente quadro appunto dell'emigrazione italiana di un tempo sempre più remoto.
La canzone ha le strofe in italiano, ma riporto comunque il testo tradotto (così come per le altre due canzoni - visto che sono già pronti, ho formattato e rielaborato quelli del sito cauboi.it).
► Mostra testo
Come figli raccolti in braccio
da questa nave che non sa partire,
ricamiamo il mare con lo sguardo a punta,
l'ancora più grossa ce l'abbiamo qui.
Come figli portati a spasso
dalle onde a pezzi che san tutto loro,
verso un'orizzonte con il sole al collo,
dondolando sempre, ma cadendo mai.
L'onda di ieri porta l'onda di oggi,
l'occhio di un vecchio era l'occhio di un bambino,
E siamo partiti, e siamo partiti
per questa America sognata in fretta,
la faccia doppia come una moneta
e una valigia in cui non c'è dentro niente.
E siamo partiti, e siamo partiti,
come pezzi di vetro di un bicchiere a pezzi,
una vita nuova quando finisce il mare
mentre quella vecchia ti picchia alle spalle.
E siamo partiti...
Come figli salutati a mano
da questa gente che non riesci più a vedere,
fazzoletti bianchi che non san volare,
non ci seguiranno e resteranno là.
Come figli presi a calci in culo
da una paura con le scarpe nuove;
e gli occhi bruciano senza rumore,
non è solo il vento, non è solo il sale.
L'onda di ieri porta l'onda di oggi,
l'occhio di un vecchio era l'occhio di un bambino.
E siamo partiti, e siamo partiti,
per questa America che mangia tutto,
un grattacielo o una rivoltella
se la fortuna mi bacerà.
E siamo partiti e siamo partiti,
come uno sputo contro la bufera:
se ce la faccio cambio la mia vita
se non affondo è già qualcosa.
E siamo partiti...
Come figli raccattati al volo
da questa statua che nasconde il cielo;
ha una faccia dura e ci guarda strano:
sarem poi simpatici alla Libertà?
E siamo partiti, e siamo partiti
per quest'America sognata in fretta,
la faccia doppia come una moneta
e una valigia in cui non c'è dentro niente.
E siamo partiti, e siamo partiti,
come pezzi di vetro di un bicchiere a pezzi;
una vita nuova quando finisce il mare
mentre quella vecchia ti picchia alle spalle.
E siamo partiti...
Televisiòn è invece una cavalcata nei primi anni di televisione e sugli effetti che quella "scatoletta" ha avuto sugli italiani e, più in generale, sull'umanità. Impreziosiscono il brano numerosi frammenti audio originali, da papa Giovanni XXIII a Galeazzi. Ballata a mio giudizio molto bella.
► Mostra testo
È capitato di tutto in quella televisione:
e la guardavamo al bar, appoggiati al bancone.
Facce in bianco e nero che passavano in fretta,
il mondo in bianco e nero dentro a quella scatoletta.
Prima c'è uno che canta una canzone,
e dopo sospendono la trasmissione:
hanno ucciso un Presidente, polizia, che casino,
una macchina a Dallas senza la capote.
Hanno detto che era bravo, hanno detto che era buono,
però gli hanno sparato da un balcone;
hanno detto che era bravo, ha fatto tante promesse,
e tanti americani piangono ancora adesso.
Televisione, quanti giorni quante notti su quelle poltrone.
Televisione, quante notti quanti giorni con quel bottone.
E noi in Italia viaggiavamo in Cinquecento
e cambiavamo tante cose a seconda del vento.
Arrivava il carosello con tutte le novità
che noi il giorno dopo andavamo a comprare.
Il Papa di Bergamo che parlava come noi
ci ha fatto persino sognare di essere più buoni;
ancora adesso che sono passati tanti anni,
in casa degli italiani c'è ancora il papa Giovanni:
magari appoggiato sopra la televisione
mentre parlano di Sanremo, di guerra o di pallone.
Ritornello
E quanti bei film il lunedì sera,
John Wayne uccideva tutti senza neanche prendere la mira;
e quanti Mike Bongiorno il giovedì sera,
se sapevi la risposta portavi a casa la lira.
E quando le partite sono diventate a colori,
è stato come quando dopo la pioggia arriva il sole:
e allora tutto il mondo era dentro in quella palla,
con la televisione nell'ufficio o nella stalla.
Urlavamo, bevevamo cone tanti rimbambiti
convinti che anche l'arbitro potesse sentirci.
E andavano sulla luna e portavano a casa i sassi
e in giro sulla Terra continuavano ad uccidersi.
Ritornello [con variazione sul tema, NdT]
Ho visto tutto il mondo e tutte le città,
seduto in poltrona, chiuso in casa.
Ho visto tutte le cose che hanno voluto farmi vedere,
ho saputo tutte le cose che hanno voluto farmi sapere.
Ho qua il telecomando e non devo più alzarmi;
ma ormai è troppo tardi, ormai non ne posso più
perchè andavano sulla luna e portavano a casa i sassi
e in giro sulla terra continuano ad ammazzarsi
Come terzo brano, indeciso tra la storia di un pazzo (o forse no?) convinto di aver visto un mostro nel lago di Como e e lo scanzonato resoconto di una vita passata nel personale del Grand Hotel di Tremezzo tra divi del cinema e piccoli rancori personali (con i fiati della Banda Osiris), opto per la sorprendente power ballad
Me canzun d'amuur en scrivi mai ("io canzoni d'amore non ne scrivo mai"; la traduzione è nel video), in cui un giardiniere soffre le sue pene d'amore tra chitarra e fisarmonica.
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Quarto rango: anni duemila
...E semm partii (2001), Davide Van De Sfroos