Vanilla Fudge
Inviato: 10/08/2015, 20:43
Tra i protagonisti della stagione psichedelica annovero anche i Vanilla Fudge.
Se, però, a differenza dei gruppi maggiori, sono stati abbastanza dimenticati, ciò lo faccio dipendere dal fatto che Mark Stein, Vince Martell, Tim Bogert e Carmine Appice fossero ottimi reinterpreti di brani altrui, ma non furono così brillanti in fase compositiva. Anche se i pezzi proposti e pubblicati erano alla fine spesso completamente stravolti e divenivano materiale decisamente nuovo e in linea coi tempi, di fatto di grandi brani frutto solo della loro ispirazione me ne vengono in mente un paio e basta.
L'esordio è del 1967, in pieno fermento psichedelico. L'album, omonimo, contiene 10 brani: 7 sono cover. Gli altri tre, messi insieme, durano 66 secondi.
Detto così, però, non rende l'idea perché in realtà la loro Ticket To Ride è una bomba che mantiene la struttura, ma si distanzia mille miglia dal classico beatlesiano (e che di norma sortisce anatemi e invettive da parte dei proggofili convinti ). Eccola:
L'album, davvero meritevole, contiene anche un'altra cover dei Beatles, Eleonor Rigby, una di Sonny Bono (Bang Bang), una degli Zombies (She's Not There) e il loro gioiello: You Keep Me Hanging' On, che resterà il loro brano più noto.
Questa versione live era stata tolta da youtube, ma ora è di nuovo godibile: mostra la potenza sonora di una band con grande grinta. Personalmente, la ritengo un'esecuzione memorabile. Carmine Appice è un batterista fantasioso e irruente, lo adoro.
Saranno solo cover, ma l'album spacca di brutto e vola fino alla sesta posizione della classifica americana. Resterà il loro miglior risultato.
Sei mesi dopo esce il loro secondo disco: The Beat Goes On. Questa volta si tratta di 13 brani, di cui 12 sono cover.
L'unico brano a firma propria è il primo: Sketch, uno strumentale introduttivo.
Anche qui, però, i freddi numeri non rendono affatto l'idea: The Beat Goes On di Sonny Bono viene frammentato e diventa SEI brani, che formano la struttura portante di tutto il disco, oltre che fornire il titolo all'album.
Nel mezzo, ecco una cover di Mozart e una di Beethoven, una Per Elisa decisamente originale (e di nuovo i miei amici proggofili imprecano e agonizzano di solito al suolo, simulando epilessia all'ascolto ):
Il bizzarro pot-pourri di Eighteenth-Nineteenth-Twentieth Century è un brano di 6 minuti circa, in cui forse la band vuol riassumere e far confluire le proprie influenze. Il brano termina con cinque brani dei Beatles riassunti in 1 minuto e 46 secondi. Manca però, in questo caso, l'originalità delle altre cover beatlesiane e il tutto si riduce a una sorta di Bignami sacrificato.
Anche questo disco, però, va bene in America, dove raggiunge la posizione numero 17.
Il terzo disco esce appena 4 mesi dopo, nel giugno del 1968, si piazza al ventesimo posto in classifica, conferma la buona forma della band e presenta una novità: ben 5 brani su 7 sono produzioni proprie. Persino tra le tre bonus track, due sono originali.
Questo disco di solito è meno quotato dalla critica, ma io non sono assolutamente d'accordo: contiene almeno tre brani del repertorio maggiore, due dei quali sono tutta farina del loro sacco. Parlo di The Sky Cried/When I Was a Boy, Season of the Witch e di Where Is My Mind, quest'ultimo brano tra l'altro, chiarisce anche che Tim Bogert non è solo un buon bassista, ma ha anche una signora voce e sa salire niente male.
Puntavo a postarne solo uno... ma mi piacciono un sacco tutti e tre e quindi eccoveli:
Altri sei mesi e sfornano un altro disco, il quarto in un anno e mezzo: Near the Beginning si piazza al 16° posto in classifica sull'onda di un altro dei loro cavalli di battaglia: Shotgun. Anche l'altro brano azzeccato dell' lp è una cover: Some Velvet Morning. Qui i brani originali sono 4 su 7, ma le produzioni proprie sono un poco inferiori al materiale altrui che come al solito hanno ricreato in stile davvero buono. Il brano di Hazelwood e della Sinatra era un pop dall'incedere bizzarro, a metà tra country e vaghi profumi di psichedelia, ideale per un bel duetto; quello dei Vanilla Fudge è un brano pienamente psichedelico, con accelerazioni "pesanti", in cui si sconfina nettamente nell'hard rock.
Pregasi confrontare:
Lo so, ho ecceduto coi brani riportati da youtube. Il motivo è presto detto: questa band è scarsamente considerata, dimenticata, e mi spiace perché ha dato il suo contributo in modo onesto e spesso dimostrando grandi capacità.
Passano altri sette mesi e la band sforna il quinto disco... ad appena due anni e un mese dal primo. I ritmi sono davvero impegnativi. Certo, in quegli anni non era certo infrequente ed è più facile quando molto materiale è attinto da altre fonti, ma restano comunque ritmi intensi. L'album va meno bene, si ferma alla posizione numero 34. E sarà l'ultima volta che anche solo la band riuscirà a entrare in classifica. I brani migliori di questa prova sono The Windmills of Your Mind e la bonus track Break Song. 5 brani su 8 sono originali.
Ritmi forsennati, dicevo, e prima rottura. Il gruppo si ferma e resterà in iato per ben 12 anni, cioè fino al 1982. Questa volta si prendono il tempo dovuto e nel 1984 esce il loro sesto disco. Non per questo le loro doti di scrittura sono migliorate: su 10 brani solo tre sono le cover, ma nessuno dei sette brani rimanenti è scritto interamente dai nostri quattro hippie: sono ben sette gli autori che li supportano.
Nonostante l'aiuto esterno e la comparsata di Jeff Beck in un brano, la critica e il pubblico ignora il disco e i nostri si sciolgono di nuovo di lì a poco. Si riuniranno ancora tra il 1987 e il 1988 e nel 1991, per periodi sempre più brevi e con formazioni sempre più rimaggiate, in cui, del quartetto storico rimane solo Carmine Appice. Poi trovano di nuovo una quadra e nel 1999 tornano in pista, questa volta senza più interrompere il proprio corso. Escono altri due dischi, uno nel 2002 e uno nel 2007, e il nono cd della loro carriera è previsto per quest'anno.
Del quartetto base sono rimasti in tre: solo Tim Bogert si è stufato (pare definitivamente) e nel 2011 ha salutato gli altri membri.
Al suo posto è stato assunto il bassista Pete Bremy ed è con questa formazione che li ho visti a Torino nel 2014.
Mark Stein e Vince Martell
Carmine Appice
Il bottino della mia serata: la set list autografata da tutti e tre e il plettro di Vince Martell.
Se, però, a differenza dei gruppi maggiori, sono stati abbastanza dimenticati, ciò lo faccio dipendere dal fatto che Mark Stein, Vince Martell, Tim Bogert e Carmine Appice fossero ottimi reinterpreti di brani altrui, ma non furono così brillanti in fase compositiva. Anche se i pezzi proposti e pubblicati erano alla fine spesso completamente stravolti e divenivano materiale decisamente nuovo e in linea coi tempi, di fatto di grandi brani frutto solo della loro ispirazione me ne vengono in mente un paio e basta.
L'esordio è del 1967, in pieno fermento psichedelico. L'album, omonimo, contiene 10 brani: 7 sono cover. Gli altri tre, messi insieme, durano 66 secondi.
Detto così, però, non rende l'idea perché in realtà la loro Ticket To Ride è una bomba che mantiene la struttura, ma si distanzia mille miglia dal classico beatlesiano (e che di norma sortisce anatemi e invettive da parte dei proggofili convinti ). Eccola:
L'album, davvero meritevole, contiene anche un'altra cover dei Beatles, Eleonor Rigby, una di Sonny Bono (Bang Bang), una degli Zombies (She's Not There) e il loro gioiello: You Keep Me Hanging' On, che resterà il loro brano più noto.
Questa versione live era stata tolta da youtube, ma ora è di nuovo godibile: mostra la potenza sonora di una band con grande grinta. Personalmente, la ritengo un'esecuzione memorabile. Carmine Appice è un batterista fantasioso e irruente, lo adoro.
Saranno solo cover, ma l'album spacca di brutto e vola fino alla sesta posizione della classifica americana. Resterà il loro miglior risultato.
Sei mesi dopo esce il loro secondo disco: The Beat Goes On. Questa volta si tratta di 13 brani, di cui 12 sono cover.
L'unico brano a firma propria è il primo: Sketch, uno strumentale introduttivo.
Anche qui, però, i freddi numeri non rendono affatto l'idea: The Beat Goes On di Sonny Bono viene frammentato e diventa SEI brani, che formano la struttura portante di tutto il disco, oltre che fornire il titolo all'album.
Nel mezzo, ecco una cover di Mozart e una di Beethoven, una Per Elisa decisamente originale (e di nuovo i miei amici proggofili imprecano e agonizzano di solito al suolo, simulando epilessia all'ascolto ):
Il bizzarro pot-pourri di Eighteenth-Nineteenth-Twentieth Century è un brano di 6 minuti circa, in cui forse la band vuol riassumere e far confluire le proprie influenze. Il brano termina con cinque brani dei Beatles riassunti in 1 minuto e 46 secondi. Manca però, in questo caso, l'originalità delle altre cover beatlesiane e il tutto si riduce a una sorta di Bignami sacrificato.
Anche questo disco, però, va bene in America, dove raggiunge la posizione numero 17.
Il terzo disco esce appena 4 mesi dopo, nel giugno del 1968, si piazza al ventesimo posto in classifica, conferma la buona forma della band e presenta una novità: ben 5 brani su 7 sono produzioni proprie. Persino tra le tre bonus track, due sono originali.
Questo disco di solito è meno quotato dalla critica, ma io non sono assolutamente d'accordo: contiene almeno tre brani del repertorio maggiore, due dei quali sono tutta farina del loro sacco. Parlo di The Sky Cried/When I Was a Boy, Season of the Witch e di Where Is My Mind, quest'ultimo brano tra l'altro, chiarisce anche che Tim Bogert non è solo un buon bassista, ma ha anche una signora voce e sa salire niente male.
Puntavo a postarne solo uno... ma mi piacciono un sacco tutti e tre e quindi eccoveli:
Altri sei mesi e sfornano un altro disco, il quarto in un anno e mezzo: Near the Beginning si piazza al 16° posto in classifica sull'onda di un altro dei loro cavalli di battaglia: Shotgun. Anche l'altro brano azzeccato dell' lp è una cover: Some Velvet Morning. Qui i brani originali sono 4 su 7, ma le produzioni proprie sono un poco inferiori al materiale altrui che come al solito hanno ricreato in stile davvero buono. Il brano di Hazelwood e della Sinatra era un pop dall'incedere bizzarro, a metà tra country e vaghi profumi di psichedelia, ideale per un bel duetto; quello dei Vanilla Fudge è un brano pienamente psichedelico, con accelerazioni "pesanti", in cui si sconfina nettamente nell'hard rock.
Pregasi confrontare:
Lo so, ho ecceduto coi brani riportati da youtube. Il motivo è presto detto: questa band è scarsamente considerata, dimenticata, e mi spiace perché ha dato il suo contributo in modo onesto e spesso dimostrando grandi capacità.
Passano altri sette mesi e la band sforna il quinto disco... ad appena due anni e un mese dal primo. I ritmi sono davvero impegnativi. Certo, in quegli anni non era certo infrequente ed è più facile quando molto materiale è attinto da altre fonti, ma restano comunque ritmi intensi. L'album va meno bene, si ferma alla posizione numero 34. E sarà l'ultima volta che anche solo la band riuscirà a entrare in classifica. I brani migliori di questa prova sono The Windmills of Your Mind e la bonus track Break Song. 5 brani su 8 sono originali.
Ritmi forsennati, dicevo, e prima rottura. Il gruppo si ferma e resterà in iato per ben 12 anni, cioè fino al 1982. Questa volta si prendono il tempo dovuto e nel 1984 esce il loro sesto disco. Non per questo le loro doti di scrittura sono migliorate: su 10 brani solo tre sono le cover, ma nessuno dei sette brani rimanenti è scritto interamente dai nostri quattro hippie: sono ben sette gli autori che li supportano.
Nonostante l'aiuto esterno e la comparsata di Jeff Beck in un brano, la critica e il pubblico ignora il disco e i nostri si sciolgono di nuovo di lì a poco. Si riuniranno ancora tra il 1987 e il 1988 e nel 1991, per periodi sempre più brevi e con formazioni sempre più rimaggiate, in cui, del quartetto storico rimane solo Carmine Appice. Poi trovano di nuovo una quadra e nel 1999 tornano in pista, questa volta senza più interrompere il proprio corso. Escono altri due dischi, uno nel 2002 e uno nel 2007, e il nono cd della loro carriera è previsto per quest'anno.
Del quartetto base sono rimasti in tre: solo Tim Bogert si è stufato (pare definitivamente) e nel 2011 ha salutato gli altri membri.
Al suo posto è stato assunto il bassista Pete Bremy ed è con questa formazione che li ho visti a Torino nel 2014.
Mark Stein e Vince Martell
Carmine Appice
Il bottino della mia serata: la set list autografata da tutti e tre e il plettro di Vince Martell.