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da Hairless Heart » 30/04/2014, 18:36
Come ampiamente previsto, questo Homo Erraticus è, anche musicalmente, la logica prosecuzione del precedente TAAB2: Whatever happened to Gerald Bostock. Ne riprende un po’ gli stessi pregi e gli stessi difetti.
Dei temi del concept abbiamo già parlato, la storia è divisa in tre parti: Cronache, Profezie, Rivelazioni. I brani sono tutti a sé stanti, con alcune melodie ed alcuni riff ricorrenti.
-Doggerland. Il ritornello ha molto di Roots to branches, nel complesso non male.
-Heavy metals. Breve bozzetto acustico simile ad altri dell’Anderson solista. Anche qui nella norma, Jack-in-the-green è lontana….Che si riferisse a questo brano quando si paventava un disco proto-metal? Diavolaccio di un Andersonaccio!
-Enter the uninvited. Mi piace l’inizio ed in generale tutto il lavoro di piano elettrico, meno il proseguimento, specie nel parlato che funge da ritornello, simile ad un pezzo di TAAB2.
-Puer ferox adventus. Al contrario di quanto accadeva in passato (anni ’70 ma anche ’80), sia qui che nel disco precedente i brani a lungo respiro non sono quelli migliori. Non ci si annoia come con l’estenuante Change of horses, ma quasi. In entrambi i casi la cosa migliore è l’intermezzo strumentale.
-Meliora sequamor . Tra i brani di punta, nella sua atmosfera di sacralità. Preghiamo.
-The turnpike inn. La strofa è uguale a Kismet in Suburbia di TAAB2. Ian, cominciamo a ripeterci un po’ troppo! Rockettino non ispiratissimo.
-The engineer. Il momento da tuffo al cuore sono gli accordi di pianoforte come quelli di John Evans in A passion play.
-The pax britannica. Sarebbe uno dei pezzi migliori, se non fosse una rilettura di Mayhem, maybe dell’81. Poco male stavolta, quello era rimasto un semi-inedito.
-Tripudium ad bellum. E’ l’unico strumentale. Dopo un inizio di flauto abbastanza ordinario, prima del minuto parte una ritmica molto interessante in 5/4.
-After these wars. Arriva il momento romanticone. Non indimenticabile, assolo di chitarra che sembra di sentire gli Europe.
-New blood, old veins. Il richiamo a Living in the past è evidentissimo, legnetti iniziali compresi (peraltro la cosa era già successa in We five kings nel Christmas album, e quindi possiamo parlare ormai di cliché tullian-andersoniano). Nel complesso un pezzuccio gradevole, anche se il 4/4 centrale non c’azzecca molto.
-In for a pound. Ripresa del tema di Heavy metals, come si conviene ad un concept che si rispetti.
-The browning of the green. Altro rockettino abbastanza anonimo. Carino però il ricamo con il flauto synthetico.
-Per errationes ad astra. Recitato che ha il suo perché nell’economia del concept, esattamente come Might-have-beens in TAAB2. Qui c’è in più tutta un’effettistica alla voce.
-Cold dead reckoning. Un pezzo robusto che probabilmente dal vivo aumenterà di punteggio, qui è un po’ “soffocato”. Nonostante il brusco stop, rimane uno degli highlights di questo Homo Erraticus. Carina la coda acustica anche se troppo breve e se sembra attaccata con lo scotch.
Devo ancora ascoltarlo qualche decina di volte per decidere se questo disco è superiore o no a TAAB2, ma siamo più o meno sullo stesso piano. Non è un capolavoro ma è certamente un lavoro ben fatto, ben congegnato e discretamente arrangiato. Manca ancora una volta il tocco in più che potevano dare dei musicisti con più personalità (e con più libertà di manovra) ma ormai è questa la strada intrapresa da Ian Scott Anderson da Dunfermline. Avercene, comunque, di dischi così ogni due anni!
Peccato per la mancanza (anche nel sito ufficiale) delle traduzioni dei testi. Per TAAB2 l’ottimo lavoro di Aldo Tagliaferro ci aveva permesso di capire tutto sulle vite possibili di Gerald Bostock. Anche per me che non do’ molto peso ai testi, questo è uno dei casi in cui la parte narrativa non è un inutile ammenicolo ma un valore aggiunto di non poco conto.
Siamo figli delle stelle
pronipoti di sua maestà Den Harrow