Alan Parsons...

Sezione dedicata a tutti i gruppi Progressive Rock.

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SH61
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Alan Parsons...

Messaggio da SH61 »

Perchè nel settore dedicato al Prog ?

Basta sentire il primo lavoro del "Project" per capirlo.

Rifacendomi a quanto scritto da dario M nella propria presentazione, dove citava "I Robot", il loro secondo LP, volevo verificare chi si ricorda questo disco.

Eravamo nella seconda metà dei 70, quando il passaparola insitente tra gli appassionati (all'epoca niente forum o Internet) insiteva su questo ingegnere del suono che vantava prestigiose collaborazioni (Pink Floyd). Il disco in questione è "Tales from mystery and imagination" che racchiudeva alcuni brani davvero molto belli, tratti dai racconti di Edgar Allan Poe.

Non ricordo gli esiti commerciali, ma la critica del circolo trasversale di chi, nella mia piccola città, seguiva musica di un certo tipo fu concorde nel definirlo un grandissimo disco. Io per primo lo trovai notevole.
A distanza di oltre 30 anni, e per quanto siano degli anni che non lo riascolto, devo onestamente dire che era un disco soprattutto molto furbo, arrangiato in maniera ineccepibile, ma innegabilmente godibile. Siocuramente di matrice progressive, con lunghi tratti stumentali e costruzione di brani affatto banali.

A breve uscì, come ricordato, "I Robot" tratto stavolta dai racconti di Asimov. Mi piaque meno.

Il successo planetario Parson lo raggiunse poco dopo, scivolando lentamente in un genere più pop (chi ci ricorda ?), con il brano "Eye in the sky".
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Hairless Heart
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Re: Alan Parsons...

Messaggio da Hairless Heart »

Mi scuserai se ho corretto il titolo del topic, aggiungendo una "s" al cognome.
Innanzitutto c'è da chiarire che "gli" Alan Parsons Project sono un duo, formato nel 1974 dal suddetto e da Eric Woolfson. Anzi, direi che dei due, la figura più importante è proprio quella di quest'ultimo, dato che ogni tanto ci metteva anche la voce (nel già citato brano Eye in the sky, tra gli altri). E' sempre stato un gruppo aperto alla collaborazione con vari strumentisti e cantanti.
In genere il disco maggiormente considerato è il primo, appunto Tales of mystery and imagination. Ma, secondo il mio modesto parere, tutti i loro dischi fino alla metà degli anni '80 sono interessanti:
I robot (1977)
Pyramid (1978)
Eve (1979) un gradino inferiore agli altri
The turn of a friendly card (1980) il mio preferito
Eye in the sky (1982)
e in misura minore Ammonia avenue (1984).
In tutti questi album troviamo essenzialmente tre tipologie di brani: quelli pop o pop-rock, decisamente i meno interessanti, salvo rare eccezioni; le ballate ultra romantiche, perfette per la camporella; i pezzi strumentali, infarciti di elettronica e sequencers, molto spesso usati come sigle o jingle.
Un esempio di brano strumentale, quello che dà il titolo al secondo album, I robot.

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Re: Alan Parsons...

Messaggio da Itsacon »

tales è senza dubbio il disco degli APP che preferisco. (adoro le modulazioni e iltema di too one in paradise... the raven... dio mio che disco!!!) [slurp]


devo dire che ho ascoltato tutta la loro discogr. e non mi sono mai mai mai annoiato. avevano sempre qualcosa di nuovo da dire coerentemente con la loro epoca.
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Re: Alan Parsons...

Messaggio da SH61 »

Grazie Hairless per le precisazioni.
Al solito non ti colgo mai impreparato.....

In effetti il Project era un gruppo molto "aperto" alle collaborazioni.
D'altro canto Parsons aveva avuto rapporti precedenti con molti artisti,a causa del suo lavoro.
Sottolineo anche quello con John Miles, che nel "Tales from.." canta quello che (forse) è il brano che preferisco : A cask of Amontillado. Parsons aveva curato per Miles il suo più famoso hit, divenuto celebre anche in Italia : "Music".
Se ben ricordo Parsons aveva anche collaborato con Al Stewart in "The year of the cat" e forse in altri lavori.

Chi conosce questi brani non può non notare che la cose che li accomuna è l'estrema ricerca di un arrangiamento curatissimo, dove anche l'orchestra si integra alla perfezione.

Il risultato risulta quidi ricchissimo nel suono, al punto che qualcuno lo avrebbe potuto ritenere eccesivamente pieno. Certo pensare che stava esplodendo il fenomeno "punk" di cui non sono affatto un estimatore.....
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Re: Alan Parsons...

Messaggio da Hairless Heart »

Ora che mici (miao miao) fai pensare, considerando che i grandi gruppi prog stavano andando un po' a....meretrici, e che l'ondata new-prog era di là da venire, potremmo considerare gli APP come il 3 d'union tra i due periodi.
Dall'album Pyramid, l'ottima Hyper-gamma spaces.

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Re: Alan Parsons...

Messaggio da Hairless Heart »

E questa è la celeberrima Lucifer, dall'album Eve.

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Re: Alan Parsons...

Messaggio da Hairless Heart »

Io continuo, eh....
Quello che forse è il mio pezzo preferito: The gold bug, da The turn of a friendly card.



Per i non giovanissimi: Stock 84 il brandy che crea un'atmosfera.
(venti bicchierini per gonfiarti una ruota....)
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Re: Alan Parsons...

Messaggio da Hairless Heart »

L'arcifamosa Mammagamma. Quanto l'ho ascoltata dai juke-box.....

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Re: Alan Parsons...

Messaggio da Hairless Heart »

E andando leggermente OT, i non più giovani si ricorderanno certamente questo "mix" dei fantomatici Pink Project.

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Re: Alan Parsons...

Messaggio da SH61 »

A dire il vero l'avevo (fortunatamente) rimosso.
Però è bastato riascoltarlo per rammentermi la mia avversione a questo genere di operazione.

Andava molto in discoteca, dove, causa forza maggiore, usavo recarmi saltuariamente......
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Re: Alan Parsons...

Messaggio da Number 51 »

Hairless Heart ha scritto:L'arcifamosa Mammagamma. Quanto l'ho ascoltata dai juke-box...
non vorrei ricordare male, ma credo che sia il primo brano della storia della musica interamente suonato al computer, senza nessuno strumento "reale"
il che a suo modo è qualcosa di storico
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Re: Alan Parsons...

Messaggio da Hairless Heart »

Segnalazione ricevuta dall'utente time, che ringrazio:

http://www.suonidimarca.it/24-luglio-ouverture/

Anche se ormai da anni alterna a esibizioni e incisioni lunghi periodo di silenzio, Alan Parsons rimane sempre un nome leggendario nell’ambito di quel rock che può essere definito progressive. La sua classe e le sue atmosfere sofisticate saranno però di scena mercoledì sera all’Airport One di via Casilina 708.

Al suo nome già da tempo non è più abbinato quello dei Project, gruppo con il quale esordì nel 1976 con il disco “Tales of Mystery and Imagination - Edgar Allan Poe” basato proprio sui racconti del celebre scrittore. Ciò che fu subito evidente, la estrema cura nelle registrazioni e la impeccabile pulizia del suono. Ma del resto Alan Parsons nasce come ingegnere del suono, e di questa sua veste professionale si sono avvalsi artisti come Beatles, Pink Floyd, Al Stewart e John Miles.

La sua musica, sebbene non abbia mai tradito le atmosfere progressive, ha però sempre avuto un occhio di riguardo nei confronti della melodia, anche in lavori quasi prettamente strumentali come “I robot” e “Pyramid”. Sciolto il gruppo degli esordi, Parsons iniziò una carriera solista e il primo album a suo nome “Try Anything Once”, venne inciso nel 1993.
Nello stesso anno a Los Angeles a ottobre Alan e la sua band parteciparono al Concerto per la Bosnia. Nel 1994 comincia un tour europeo che rappresentò il primo tour di Parsons in quasi 20 anni di attività discografica e ne fu estratto l'album The Very Best Live (1994), prima registrazione dal vivo di Alan Parsons. E poi un susseguirsi di progetti e collaborazioni anche nei tempi più vicini a noi. Nel gennaio 2008 partecipò a Napoli al Concerto dell'Epifania cantando due successi dal repertorio di The Alan Parsons Project: Eye in the Sky e Don't Answer Me. Nel 2010 Alan Parsons ha pubblicato il singolo All Our Yesterdays ed il live album Eye 2 Eye: Live in Madrid. Nel settembre 2012 ha iniziato la registrazione del prossimo album di Steven Wilson in uscita nel 2013.

Quella di mercoledì, insomma, sarà un’occasione per apprezzare un artista poliedrico e raffinato che non ha mai tradito la sua vena fortemente progressive.


http://spettacoliecultura.ilmessaggero. ... 8841.shtml
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Re: Alan Parsons...

Messaggio da Il mago di Floz »

In effetti, più che duo, ai tempi d'oro si trattava di un trio: essenziale anche la terza figura, quella di Andrew Powell, anche in veste di direttore d'orchestra. Del resto, occorre rimarcare che di progetto - non di veri e propri album solisti - si trattava: questo fin dal nome indicato sulle copertine.

Il progetto di Alan Parsons l'ho conosciuto tramite mio padre, che ha tutti e dieci i vinili usciti a questo nome e li adora. Io con lui: posso dire che, coi Jethro Tull, si tratta del mio "gruppo" preferito.

Dei dieci album canonici (tralasciando "The sicilian defence", inedito pubblicato quest'anno) - per intenderci, quelli che arrivano a Gaudì - è innegabile che i migliori siano i primi cinque; ma anche negli altri, in varia misura, ci sono ottime cose. Casomai a qualcuno dovesse interessare, proverò a dire la mia su ognuno, cercando più di pennellare sensazioni che non pedisseque descrizioni; proverò inoltre ad assegnare dei voti (cosa che credo provo ora per la prima volta e della quale non ne sarò così convinto. I voti cercano di dare una scala relativa, dove il 6 non è riferito alla musica tutta, ma – per intendersi – alla produzione successiva solista di Alan Parsons [fatto salvo il pezzone Turn it on, giustamente inserito in molte racconte], che peraltro qui non tratto, non conoscendola così bene. Inevitabile, dunque, che vi sia un dieci; e compare subito).
Se mi dilungo troppo, perdonate; ma – credetemi – io con questa musica fantastica ci sono cresciuto.


Tales of Mystery and Imagination - Edgar Allan Poe (1976) – 10
L’esordio. Il più acerbo e forse il più meraviglioso dei dieci album del progetto. Ogni brano è ispirato alla produzione dello scrittore statunitense. Spiccano – ma il livello è altissimo – la straordinaria The raven (prima canzone in assoluto a veder utilizzato il vocoder, ad ulteriore dimostrazione del genio di Alan Parsons in materia di suono), l’intensa The cask of Amontillado, la sognante To one in Paradise e la clamorosa suite strumentale The fall of the house of Usher (in particolare nei movimenti II. Arrival e IV. Pavane, giocati sugli intrecci tra orchestra e band - la cui formazione base "tipo" è quella formata da Ian Bairnson, David Paton e Stuart Elliott); stupendo. L’album, peraltro, ha un ideale seguito nel bellissmo Poe: More Tales of Mystery and Imagination (2003) del povero Eric Woolfson, scomparso pochi anni or sono.

I Robot (1977) – 8,5
Si tratta di una pietra miliare della musica, soprattutto per il ruolo innovative dell’elettronica, e come tale è giustamente celebrato. Personalmente lo trovo meno irresistibile proprio nei pezzi portanti, lunghe strumentali che aprono le due facciate. Da urlo il trittico di brani che chiude il lato A, Some other time (giocata su due voci molto simili - quelle di Peter Straker e di Jaki Whitren - sebbene una maschile ed una femminile), Breakdown (una micro-The wall) e la parsonianissima Don’t let it show: a mio parere una delle sequenze più belle della musica moderna tutta. Straordinarie anche la ballata Day after day (The show must go on) e la conclusiva, strumentale Genesis Ch. 1 v. 32, che simboleggia – chissà? – una nuova era caratterizzata dal predominio dei robot (come il precedente, I robot è un concept album. La virgola del romanzo di Azimov è stata omessa per motivi legati ai diritti).

Pyramid (1978) – 9
Album stupendo, ricco di strumentali bellissime ( In the lap of the gods), brani di più ampio respiro (Can’t take it with you), insostenibili crescendo per voce ed orchestra (What goes up…) ed irresistibili brani concisi e di grande impatto (Pyramania). Molto molto bello.

Eve (1979) – 8,5
Lucifer è stato probabilmente il mio primo brano non da ascoltatore passivo, bensì da armeggiatore di giradischi, che esulasse il cantautorato italiano degli anni ’70 e primi ’80 (stravedo per il Bennato, il Vecchioni e il Branduardi dell’epoca). A conti fatti è forse il meno essenziale della prima cinquina; ma – oltre all’oscura canzone appena citata – è da ricordare almeno la bellissima Damned if I do. Dei dieci, inoltre, è l’unico album a presentare voci soliste femminili (c’è un poco evidente duetto su I robot) – una delle quali è la Clare Torry che tanto ha colpito sul lato oscuro della luna.

The Turn of a Friendly Card (1980) - 9
A me fa impazzire, oltre alla dolcissima Time, l’intero second lato, composto dallo strumentale The gold bug – dalle atmosfere quasi da selvaggio west – e dalla suite omonima, che in realtà è un insieme di cinque (stupende) canzoni che il suo culmine nella straordinaria Nothing left to lose (grande assolo di Ian Bairnson, già chitarra nella stupenda Wuthering heights di Kate Bush) e nella coda strumentale della seconda parte della title-track.

Eye in the Sky (1982) - 8
Album – inutile negarlo – dominato dall’inziale, celeberrima accoppiata Sirius/Eye in the sky, ma che ha in coda ai due lati le canzoni migliori: la dolce Old and wise e la straordinaria Silence and I, il cui fragoroso intermezzo orchestrale fin dai tempi – e ancora tutt’oggi – mi lascia senza parole.

Ammonia Avenue (1984) – 7,5
Si tratta di un Eye in the sky senza hit spaccaclassifiche, ma con delle perle di grande valore – soprattutto ai due estremi: l’iniziale Prime time è un rockettone da autostrada di quelli giusti; la conclusiva – e disarmantemente bella – Ammonia Avenue è una canzone caratterizzata da un grandissimo crescendo evocativo e da un altro intermezzo orchestrale (ricordo che ai tempi col mio migliore amico ironizzavamo su come sembrava che non c’entrassero nulla col brano. Forse è vero; ma cara grazia che ci sono!).

Vulture Culture (1984) – 7,5
Album spesso poco considerato, obiettivamente non è tra i capolavori del progetto. Ma l’iniziale Let’s talk about me e Somebody out there sono pezzoni. Molto bella anche la sognante ballata Days are numbers (The traveller), cantata dal buon Chris Rainbow, uno dei miei preferiti tra quanti hanno cantato per Alan Parsons.

Stereotomy (1985) - 7
Forse il meno clamoroso dei dieci. Spicca però una gemma: Light of the world, che io trovo irresistibile quando si apre in un oceano di sensazioni durante il ritornello. Da segnalare anche Limelight (cantata da Gary Brooker dei Procol Harum) e la ripresa della title-track, quest’ultima pur bella, ma che avrebbe forse tratto giovamento da un tiro maggiore.

Gaudi (1987) – 8
Per molti trascurabile; non per me. Anzi: presenta alcuni brani splendidi; su tutti i due cantati dal compianto Eric Woolfson, Closer to Heaven e Inside looking out; quest’ultima sfocia nella bella strumentale Paseo de gracia. L’album è però dominato dall’iniziale, stupenda La Sagrada familia.
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Re: Alan Parsons...

Messaggio da reallytongues »

Io ho solo "Tales..." che non ho mai ascoltato molto, ma che è sicuramente un lavoro di grande effetto (non sapevo del primato di "The Raven" riguardo al vocoder)
da quanto conosco i brani che ho ascoltato dei successivi mi paiono più immediati e accattivanti, più attenzione alla composizione che al suono o almeno pari livello?
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Re: Alan Parsons...

Messaggio da Il mago di Floz »

Che siano più immediati e accattivanti, è fuori di dubbio: tanto per fare un esempio, se in I robot si contano quattro strumentali (più un lungo brano quasi strumentale e caratterizzato da voci "robotiche") - due dei quali al limite del rumorismo - e quattro brani più convenzionali (sebbene due di essi siano caratterizzati da due sezioni distinte), in Vulture culture (edito sette anni dopo) di fatto si trovano otto potenziali singoli (strumentale compresa).

Onestamente la cura del suono mi sembra sempre ad altissimi livelli (è pur sempre Alan Parsons): quello che cambia è proprio la fruibilità delle composizioni - immagino che il botto commerciale di Eye in the sky (album comunque non privo di esperimenti e grandi brani orchestrati) abbia influito non poco.

Se calo qualitativo c'è stato, insomma, si tratta di un calo fisiologico - e comunque personalmente trovo almeno un capolavoro in ogni album del progetto. [bye]
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Re: Alan Parsons...

Messaggio da Hairless Heart »

Il mago di Floz ha scritto:... e la straordinaria Silence and I, il cui fragoroso intermezzo orchestrale fin dai tempi – e ancora tutt’oggi – mi lascia senza parole.
L'ascoltavo proprio in settimana, con tutto l'album attorno, s'intende. Che dici, Mago? Con un intermezzo così potremmo essere dalle parti del prog?
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Re: Alan Parsons...

Messaggio da Il mago di Floz »

Anni fa mi piaceva pensare che l'Alan Parsons Project ricadesse nel calderone del progressive, e cercavo tutte le prove a sostegno di questa tesi: i commoventi interventi orchestrali di Silence and I e di Ammonia Avenue, la suite - un po' forzata, ma che ci sta dal punto di vista tematico e per via della ripresa del brano iniziale - di The turn of a friendly card e quella, molto più omogenea, del disco d'esordio, la fedeltà al concept in quasi tutti gli album, il ricorso sistematico a strumentali di grande fascino.
Oggi, peraltro, sono più convinto di allora che qualcosa di progressive ci sia; ma forse me ne importa di meno - anche perché ritengo che includere forzatamente lavori in un genere (specie se nebuloso come il progressive, che di fatto - semplificando un po' - più che un genere è un modo di operare che può accomunare tanto il rock, quanto il jazz che - come si saprà anni dopo - il metal) abbia l'effetto collaterale di sfumare ulteriormente i confini dello stesso, correndo il rischio di sfumarne ulteriormente i già frammentari elementi di unione (se capisci cosa intendo).
In altre parole, se basta scrivere suite o inserire parti orchestrali in un album per essere considerati progressive, significa che anche Alberto Fortis (la - peraltro ottima - suite del secondo album*), Edoardo Bennato (ad esempio nella splendida Dotti, medici e sapienti) possono, forzando un po', essere considerati progressive.

Ora, conscio del fatto che la tua fosse una semplice domanda e io ne ho ricavato un panegirico del tutto non richiesto ( [smile] ), per tutto quanto detto, forse no: non ritengo progressive i lavori di Alan Parsons. Poi però penso che gli elementi a favore di questa tesi sono parecchi (ci sono le suite, ci sono i concept, ci sono le parti orchestrali, ci sono le sperimentazioni elettroniche, ci sono lunghe parti strumentali - sia furiose che di bonaccia), e allora cambio idea. [bye]



* Metto il link casomai qualcuno fosse interessato (peraltro, a riprova della bontà dei suoi primi lavori, nell'esordio suona la PFM e, in questo, continua la collaborazione con Mauro Pagani).
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Re: Alan Parsons...

Messaggio da Hairless Heart »

più che un genere è un modo di operare
Verissimo, e proprio per questo si discute e si discuterà sempre su cosa è prog e cosa non lo è. La domanda annosa: i Pink Floyd sono prog? Per me no, quasi mai almeno.
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Re: Alan Parsons...

Messaggio da reallytongues »

ah adesso anche tu Hair sei con me nel definirli psichedelici e basta i Floyd?

riguardo a Parsons direi che anche lui è un post-psichedeico
insomma il progressive è si una derivazione della psichedelia con inserti colti, ma c'è pure una corrente anche americana che continuando con un respiro psichedelico ha spostato i confini del pop verso il soft-rock
Appunto anche in america la psichedelia wets coastiana si è negli anni 70 evoluta nel soft rock senza passare al prog, così i Floyd (il gruppo forse con più legami con la psichedelia americana).
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Re: Alan Parsons...

Messaggio da Hairless Heart »

Nel proseguire l'OT.....
No, nè psicolabili e basta, nè prog e basta.
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