
Ovviamente un’operazione del genere ha i suoi limiti, di omogeneità e compattezza innanzitutto. Paul McCartney è un po’ sfavorito, dato che contribuisce con il suo primo album eponimo, volutamente low-profile. Neanche a Ringo Starr va troppo bene, nel ’70 ha pubblicato ben due album ma entrambi di cover. John Lennon ha anch’egli al suo attivo un disco scarno ed essenziale, John Lennon/Plastic Ono Band, ma che è talmente diretto ed autobiografico da essere il più amato dagli irriducibili fans, più del “patinato” Imagine. Chi ci guadagna nel giochino è George Harrison, cui ho concesso 4 canzoni su 16, percentuale mai ottenuta prima; avrebbero potuto essere anche di più, ma non sarebbe stato credibile un Harrison con più spazio rispetto a Lennon e Macca. Il suo All things must pass contiene numerose perle di assoluto valore, tanto da essere considerato da molti il miglior album di un ex-Beatle.