Quando ascoltai questo disco per la prima volta, e sono sincero, non troppi anni fa, mi resi conto che la Musica mi aveva nascosto per troppo tempo questo autentico gioiellino. Perché Hatfield and the North (1974) degli Hatfield and the North lo è.
Stiamo parlando, e spero me ne darete ragione, di musica con una marcia in più. Non ci si stanca ad ascoltare queste canzoni perchè ogni giorno si colgono sfumature che prima ci erano negate, ravvisandone classe ed eleganza.
E non spaventatevi se qualcosa potrà sembrare troppo “jazz”, abbiate pazienza e non ve ne pentirete.
Poche righe da leggere per voi e per spiegare chi sono questi Hatfield and the North, ovviamente per coloro che fino adesso li hanno ignorati o ne hanno semplicemente sentito parlare.
Gli Hatfield and the North, con all’attivo due soli dischi in studio, sono stati un ensemble di musicisti tutti provenienti dalla cosiddetta “scena di Canterbury”. Un filone musicale legato al Progressive che nacque alla fine degli anni sessanta presso la cittadina di Canterbury nel Kent.
La band comprendeva: Richard Sinclair (voce e basso) dai Caravan, Phil Miller (chitarra solista) dai Matching Mole, Pip Pyle (batteria) dai Gong, Dave Stewart (tastiere) dai Khan, più la partecipazione di Robert Wyatt alla voce nel brano Calyx.
Altri strumentisti concorrono alla stesura di questo disco, ma non vorrei tediarvi facendovi l’elenco. Wikipedia ne sa più di me e da lì potrete trarne ulteriori informazioni.
Questo lavoro fu particolarmente ambizioso perché amalgamava stili diversissimi tra loro. Se uniamo le follie spaziali dei Gong al tecnicismo strumentale dei Matching Mole, il suono caldo e romantico dei Caravan alla rigorosità dei Soft Machine, capirete la difficoltà di rendere credibile e non presuntuoso questo progetto.
Devo precisare che l’intero album è sotto forma di concept: brani legati tra di loro semplicemente da stacchi musicali che uniscono la fine della canzone con la successiva.
In questo primo video in realtà troviamo ben tre composizioni.
Sono dei video/audio che mostrano semplicemente la bella copertina del disco, anche perché testimonianze live sono più che rare.
Prima, seconda e terza traccia: THE STUBBS EFFECT / BIG JOB / GOING UP TO PEOPLE AND TINKLING
Dopo la breve introduzione pianistica di appena venti secondi fa esordio la suadente voce di Richard Sinclair per esporci il tema, per poi confluire intorno al minuto tondo nel suono carterburiano che dominerà l’intero album. Bellissimi i contrappunti tra il piano elettrico di Stewart e la chitarra pulita di Miller.
http://www.youtube.com/watch?v=dT8iPppuQ6o