URIAH HEEP: Look at yourself

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Il mago di Floz
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URIAH HEEP: Look at yourself

Messaggio da Il mago di Floz »

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Gli Uriah Heep, come spesso accade nell’Inghilterra dei tardi anni Sessanta, nascono dalle ceneri di uno di dei numerosi gruppi adolescenziali destinati in genere a dissolversi nel breve volgere di un sogno a occhi aperti. In uno di questi gruppi, gli Spice, si mettono tuttavia in luce Mick Box, chitarrista magari non irresistibile tecnicamente ma dal tocco decisamente personale, e David Byron, cantante tanto bravo quanto sfortunato (dipendente dall’alcol, morirà nel 1985 a seguito una crisi epilettica). A loro si uniscono il batterista Alex Napier – che subito si sarebbe alternato con Nigel Olsson -, il bassista Paul Newton e, su consiglio di quest’ultimo, il capellone Ken Hensley, tastierista, chitarrista e cantante di raro gusto.

Il quintetto così formato – il cui nome, tratto da quello di un personaggio del David Copperfield di Charles Dickens, viene scelto dal produttore e manager Gerry Bron – dà così alle stampe il primo album Very ‘eavy… Very ‘umble, contenente i primi due grandi classici del gruppo, la durissima Gypsy e la sognante Come away Melinda. L’album è degno di nota, ma paradossalmente deve gran parte della sua fama alla critica feroce di Melissa Mills sul Rolling stone (l’aneddoto è piuttosto noto: la giornalista ebbe a scrivere “Se questo gruppo ce la farà io dovrò suicidarmi).

L’anno successivo, cambiato il batterista (ora Keith Baker), gli Uriah Heep proseguono nel loro notevole percorso di crescita, guidati dal carismatico Ken Hensley, il quale impone la sua personale visione della musica e compone per il gruppo alcuni brani caratterizzati da spiccata melodia e da colorate sfaccettature strumentali, talvolta interpretandoli personalmente (uno di questi brani – Lady in black – sarà destinato a diventare una delle canzoni più note di sempre). Box e Byron si ritagliano comunque i loro spazi, specialmente in Bird of pray (brano hard rock che avrà non poca influenza musicale nei decenni successivi) e in quello che è il piatto forte di Salisbury, la suite di sedici minuti che dà il titolo all’album, una riuscita incursione in territori più progressive, relativamente prossimi ai Colosseum di Valentyne suite.

Gli Uriah Heep, nel 1971 e con il nuovo batterista Ian Clarke, affinano quella formula che l’anno successivo porterà al capolavoro, ma già ora dà i suoi frutti: Look at yourself è infatti un disco strepitoso. L’iniziale Look at yourself, di Hensley, è un brano clamoroso nel quale le strali lanciate da David Byron vengono dapprima amplificate dall’organo e poi assecondate dalla chitarra di Box, fino a sfociare nel pazzesco finale strumentale, sorretto da tre percussionisti del gruppo afro-caraibico degli Osibisa. Pochi istanti di silenzio non bastano ad intaccare il forte pathos emotivo creato dal brano iniziale perché I wanna be free inizia infuocata, salvo poi allargarsi in un momento di placidità che tuttavia, sotto i colpi di basso, non tarda ad esaurirsi in una vigorosa progressione che porta il brano a dissolversi in un tiratissimo duetto tra Box e Byron.

La successiva July morning, scritta da Byron e da Hensley, non ha niente da invidiare ai grandi brani lunghi del periodo – non a Child in time e nemmeno a Stairway to heaven – da tanto è perfetta la sua melodia; da tanto è coinvolgente il suo crescendo; da tanto è efficace l’assolo del minimoog suonato da Manfred Mann; da tanto è incisivo e indimenticabile il riff per chitarra e organo; da tanto è calda, potente, pulita e straordinariamente evocativa la voce di Byron. Un capolavoro assoluto.

Nervosi colpi di ritmica introducono un altro gioiello, quella Tears in my eyes che ad una prima parte piuttosto convenzionale fa seguire un lungo e intenso crescendo retto dai vocalizzi di Byron e, in un secondo tempo, dai lamenti della chitarra di Box, abile poi a riportare il brano sui binari inziali. La successivaShadows of Grief si colloca invece nel solco tracciato dalla suite dell’anno precedente, pur presentandosi in una veste decisamente dura e alternando nei suoi quasi nove minuti sfuriate elettriche, inquietanti vocalizzi carichi di tensione e strida disperate.

Dopo un simile carico emotivo irrompe l’unica ballata dell’album, What should be done, brano più leggero ma tutt’altro che esile. Chiude l’album un hard rock che poco si discosta dai canoni parpoliani, la scoppiettante Love machine, nel quale le tre figure più rappresentative degli Uriah Heep dell’epoca hanno ancora modo di mettersi in luce.

Look at yourself, più o meno intenzionalmente, ricalca nella forma uno dei grandi album dell’epoca d’oro dell’hard rock, Deep Purple in rock, uscito l’anno precedente: un brano d’apertura devastante, un lungo capolavoro in chiusura di primo lato, ruvidezza senza fronzoli mitigata da bonacce di organo. Quello che differenzia la musica dei due complessi è soprattutto, almeno in questa fase, la vena melodica di Ken Hensley.
Look at yourself, lavoro dunque di notevole spessore e importanza, non è tuttavia che l’ultimo tassello per la costruzione dell’album capolavoro, quello in cui tutto quanto va a compimento.

Il capolavoro, l’album perfetto, è quello che per alcuni gruppi può valere un’intera, successiva carriera – è il caso di molti complessi dell’hard rock, ma anche del progressive –, o di quello che, viceversa, non è che il primo picco di una serie di più scalate nel tempo, per quanto sempre meno impegnative, ognuna di esse culminante però in un’opera esemplare degli stimoli che hanno spinto ad un determinato percorso di continuo rinnovamento – è il caso, per esempio, dei Jethro Tull.

Nel caso degli Uriah Heep il capolavoro arriva nel 1972, e tale è lo stato di grazia del gruppo – finalmente nella sua formazione più celebre, con Lee Kerslake alla batteria e lo strepitoso Gary Thain al basso – che ad appena sei mesi dal meraviglioso Demons & Wizards (album che, tra le altre, include due brani pazzeschi come The wizard e Circle of hands, per chi scrive uno dei brani più belli di sempre), esce anche un secondo album, The magician’s birthday, come a formare – anche grazie alle splendide copertine di Roger Dean – un unicum di incredibile valore. (Curiosamente, nello stesso anno anche un altro grande gruppo inglese all’apice della forma dà alle stampe due album capolavoro a pochi mesi uno dall’altro – si tratta degli Yes.)
Dei brani che compongono questo secondo album si distinguono soprattutto la lunga, bellissima canzone che dà il titolo all’album, lo splendido hard rock ad ampie vedute di Sunrise e Rain, gioiello acustico che Ken Hensley riproporrà un anno dopo nel suo bellissimo album solista Proud words on a dusty shelf – che, per inciso, contiene almeno un altro capolavoro, la malinconia e straordinaria Cold autumn Sunday.

La formula funzionerà ancora per un paio di anni, nei quali gli Uriah Heep daranno alle stampe un altro ottimo album, Sweet freedom (lavoro che ha i suoi apici nella celebre Stealin’ e nell’epica Pilgrim), e quindi Wonderworld, il quale – a parte la splendida canzone omonima – si assesta tuttavia a un livello qualitativo inferiore. È a questo punto della storia, del resto, che qualcosa si rompe: arrivano i dissidi interni, i primi malumori (Ken Hensley lascerà gli Uriah Heep nel 1980), le conseguenti, devastanti dipendenze – quella alcolica di Byron e, ancor più grave, quella dall'eroina di Gary Thain, che nel 1975 sarebbe morto per overdose – minacciano seriamente la carriera del complesso.

Gli Uriah Heep, tuttavia, già a partire da Return to fantasy sapranno riprendersi e reinventarsi; e, ancora oggi, portano in giro per il mondo il loro essere hard rock, forti soprattutto della grinta del cantante Bernie Shaw e del wha-wha del vecchio chitarrista degli Spice, a ricordarci che i sogni a volte si avverano.
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rim67
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Re: URIAH HEEP: Look at yourself

Messaggio da rim67 »

[exc] Bravo mago, ho visto il topic......ora vado di super fretta....in pomeriggio non mancherò di leggerlo ;)
"Ho lavorato nel settore musicale per un po'. Sì, in tournée con i Metallica. Facevo il tecnico del suono. Una manica di stronzi!" Drugo
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rim67
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Re: URIAH HEEP: Look at yourself

Messaggio da rim67 »

Bellissima recensione mago [approve]
Per me uno dei loro migliori lavori, con July morning sicuramente tra le mie dieci canzoni preferite [hearts]
"Ho lavorato nel settore musicale per un po'. Sì, in tournée con i Metallica. Facevo il tecnico del suono. Una manica di stronzi!" Drugo
2Old2Rock2Young2Die
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Re: URIAH HEEP: Look at yourself

Messaggio da 2Old2Rock2Young2Die »

Look at yourself e July morning sono proprio dei buoni pezzi, ma credo che mi riascolterò tutto il disco con sott'occhio le accurate note del mago! Comunque la copertina con lo specchio è geniale!
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MrMuschiato
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Re: URIAH HEEP: Look at yourself

Messaggio da MrMuschiato »

Uno dei dischi che preferisco degli Heep, gran bel lavoro come sempre Mago!
Gobelini, coboldi, elfi, eoni, la mandragora, il fico sacro, la betulla, la canfora, l'incenso, le ossa dei morti lanciate contro il nemico, i nani!
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morrigan
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Re: URIAH HEEP: Look at yourself

Messaggio da morrigan »

Non so dire cosa non mi piaccia di loro XXD!
Scoperti pochi anni fa, un vicino dei miei aveva un vinile live del '73 e mio padre con zii e amici loro sono letteralmente impazziti! Mi chiedevo se avessero scoperto il Graal XXXDDD.
Poi li ho ascoltati, e ho capito!
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